Il monte Ararat con i suoi 5.156 metri risulta essere la cima più alta della regione. E’ situato nelle vicinanze della città di Dugubayazyt nella parte orientale della Turchia al confine con l’Iran e l’Armenia.
Il monte Agri (altro nome del più conosciuto Ararat), un cono di classica origine vulcanica, è alla portata di chiunque abbia discrete conoscenze di alpinismo. La miscela di storia e leggenda circa la presenza della famosa Arca utilizzata da Noè per salvare dal diluvio le specie animali della terra, contribuisce a rendere ancora più affascinante un viaggio già di per se spettacolare e interessante.
Partita da Milano il 16 agosto 2002, la comitiva di circa 14 persone atterra a Instanbul nella serata dello stesso giorno. Già il giorno successivo ci attende il trasferimento con un volo interno per Van e poi due ore di pulmino per la lontana Dugubayazit, città ad appena 75 minuti di aereo dalla capitale, ma che ci sembra lontana dagli usi e costumi occidentali almeno un secolo. Ci colpisce l’apparente calma, le donne velate e qualche carro armato parcheggiato qua e là.
Ci sistemiamo in un decoroso albergo del centro e finiamo la nostra giornata con una abbondante cena a base di capretto. Il 18 agosto c’è il trasferimento al campo base. Seppur partiti nella prima mattinata, siamo costretti ad attendere fino alle 13 in un posto di blocco lungo il tragitto per problemi “burocratici”, ospiti dei militari che nonostante il torrido clima ci offrono un buon te. Finalmente si riparte e si raggiunge il campo base a 2.800 m (2 ore di cammino dal parcheggio dei pulmini) dove ci attendiamo e ceniamo.
Il giorno seguente è dedicato all’acclimatazione, con delle brevi sgambate su e giù per qualche sentiero che offre delle piccole ma pittoresche cascatelle. Il 20 agosto si sale al campo alto a 4.200 m; incontriamo molti muli che scendono con le spedizioni che ci hanno preceduto. L’area di sosta è abbastanza limitata e angusta, per cui non si può salire se prima non scende qualcuno. Il panorama nella sottostante valle è splendido come il tempo di questi giorni. Ceniamo su una pittoresca balaustra di sassi dove ammiriamo il tramonto del sole e già immaginiamo di essere in vetta.
Mercoledì 21 agosto; sveglia in piena notte e si parte. Con passo lento ma costante saliamo in fila indiana. Spettacolare al sorgere del sole, l’ombra conica della montagna. Si alza un freddo vento che ci sferza fino alla vetta a 5.165 m dove arriviamo tutti intirizziti ma soddisfatti del panorama che spazia dall’Iran, all’Armenia, all’Anatolia a alla sottostante piana.
Rientriamo subito al campo base a 2.800 m e ci ritiriamo in tenda quasi senza cenare dopo una estenuante ma splendida giornata. Il giorno seguente rientriamo a Dugubayazit non prima di aver ammirato l’Iran Border Gate, il vicino confine con l’Iran (alla frontiera ci sono quasi due chilometri di TIR fermi in attesa di entrare), un grande e profondo cratere dove è precipitata una meteorite negli anni cinquanta, e soprattutto il Noah’s Ak Silhouette, lo scavo della biblica Arca di Noè.
Rientrati i città mi concedo un vero bagno turco in un locale incredibile; tutto realizzato in marmo con decine di cellette, acqua corrente gelata, vapore asfissiante e piani in marmo per i tanto declamati massaggi che provo con immenso piacere per la mia schiena e per gli stanchi muscoli delle gambe. Andiamo a cene al Isahak Pasha Palace, un antico minareto sulla collina soprastante le città dove si può ammirare un tramonto mozzafiato e dove abbiamo potuto mangiare dell’ottimo pollo e montone arrosto.
Il 23 agosto rientriamo nella capitale che visitiamo per l’intera giornata seguente: Santa Sofia, la Moschea Blu, le viuzze ed il caratteristico quartiere medievale, il Topkapi. Vi posso garantire che Instanbul è veramente meravigliosa… e poi a cena sul Galata bridge, il ponte sul Bosforo dove festeggiamo alla grande la splendida spedizione. Il mattino seguente, è ora di ripartire per tornare in Italia, certi di aver partecipato ad uno dei più belli e affascinanti viaggi.
Chi volesse delle immagini e delle notizie più accurate può consultare il sito www.claudioschranz.it. Claudio è infatti stato più volte assoldato da un grande studioso e ricercatore dell’Arca; dopo numerosi viaggi, lo stesso Schranz è riuscito a fotografare sulle pendici dell’Ararat, dei reperti lignei ipoteticamente appartenenti all’Arca.
Qualche notizia in più sull’Arca
E’ proprio sull’Ararat che è focalizzata l’attenzione degli storici e degli esploratori in quanto, dalla letteratura della Bibbia, appare evidente che su di esso a quota 4.800 m, in corrispondenza di un vistoso altopiano, sia approdata l’Arca di Noè, alla fine del diluvio.
In questa posizione è rimasta visibile, come risulta da testimonianze storiche, fino al 2 luglio 1840, quando, per effetto dei movimenti eruttivi del monte stesso, che risulta di origine vulcanica, la struttura dell’arca, costituita secondo il libro della Genesi da un piano di base con funzione di doppio fondo, da un piano inferiore e da un secondo e terzo piano, si è scissa in tre tronconi. Il primo, che rappresenta la parte più consistente dell’Arca, corrispondente presumibilmente a tre piani superiori, è scivolato a quota 4.300 m, il secondo costituito dal piano base, si è staccato ed è finito in un braccio del ghiacciaio Parrot a quota 4.065 m, il terzo è scivolato fino a quota 3.960 m, nella gola di Ahora.
Quanto scritto è frutto di deduzioni tratte da esplorazioni sul loco realizzate da uno dei più accaniti ricercatori internazionali dell’Arca: il ricercatore Angelo Palego